Una mostra dopo l’altra i ragazzi di BRACE BRACE sono arrivati a creare una vera e propria proposta culturale, muovendosi tra ricerca e libertà progettuale.

“BRACE BRACE è luogo d’incontri, condivisione e ricerca nell’arte contemporanea; campo aperto che indipendente brucia”.  Così si presenta lo spazio culturale indipendente e studio d’artista situato in via Termopili 36 a Milano, fondato dalle artiste visive Francesca Finotti, Cecilia Mentasti, e Francesco Paleari, fotografo e professore al Master di Fotografia dello IUAV di Venezia.

Prendendo vita da tre personalità con differenti background, BRACE BRACE è allo stesso tempo spazio espositivo e progetto curatoriale, con una direzione artistica fortemente improntata all’interdisciplinarità.

BRACE BRACE è accompagnato da un comitato scientifico variegato, di cui fanno parte Simone Salvatore Melis (identità e grafica), Elisa Di Nofa (strategia di comunicazione e social) e Flavia Albu (supporto curatoriale). Con all’attivo cinque mostre dalla nascita dello spazio, i ragazzi di BRACE BRACE hanno sviluppato con il tempo un’autonomia progettuale inedita all’interno del contesto degli spazi culturali milanesi e al di fuori del puro sistema delle gallerie.

Fondato nel 2019, BRACE BRACE è stato creato inizialmente come studio. “Nasce come studio d’artista, però effettivamente ci siamo resi conto che era un luogo che si prestava molto all’organizzazione di mostre ed eventi”, racconta Mentasti. “Siamo molto aperti alla sperimentazione seppur con delle regole interne molto precise, ma la nascita è stata davvero spontanea, e questo è stato anche il bello perché era effettivamente una necessità che avevamo e che piano piano si è articolata in modi differenti”.

Il passaggio da studio d’artista a spazio espositivo è venuto da sé quindi, in un contesto di lavoro e ricerca. Da notare come molto forte sia stata l’influenza del luogo fisico. BRACE BRACE, infatti, è nato all’interno di un ex-laboratorio al piano terra di un classico palazzo milanese in via Termopili, a due passi dalla metro di Pasteur e nelle vicinanze della gentrificata Piazza Morbegno. “È stato un approccio se vuoi serendipico” dice Paleari; “Ci è capitata l’opportunità di avere questo spazio, ne abbiamo colto le opportunità e le potenzialità e abbiamo voluto sfruttarle al meglio. È stato un gioco fra più soggetti di cui uno di questi era proprio lo spazio; spazio che ci ha suggerito un determinato utilizzo e che noi abbiamo sfruttato, all’inizio spontaneamente e poi in modo sempre più programmatico, consci di quali fossero i limiti e quali le potenzialità”. Uno dei punti di forza dello spazio di via Termopili è infatti la possibilità di modificare a seconda delle necessità del progetto e dell’artista la composizione fisica degli interni. Composto da tre ambienti di cui due con vetrine e affaccio su strada, è stato utilizzato in modi e combinazioni diverse da ogni artista che vi ha esposto. “Ha una stanza che funge da laboratorio e altre ancora che utilizziamo più come studio”, mi dice Francesca: “l’unico paletto che ci siamo dati all’inizio è stato dire agli artisti ‘pensate ad una cosa che non avete ancora avuto l’occasione di fare’ magari perché lavorando con le gallerie o altre tipologie di spazi più istituzionali spesso non viene data la stessa libertà, o per mancanza di aiuti tecnici, quindi ‘se volete buttare giù un muro, fare cose impensabili, potete farlo’”.

Lo scorso ottobre si è tenuta la mostra di Jacopo Rinaldi iio sono un disgraziato e il mio destino è di morir in prigione strangolato, che ha avuto al centro lo studio della produzione fotografica dell’anarchico Gaetano Bresci. La mostra di Jacopo Rinaldi è un buon esempio della libertà progettuale che accompagna il lavoro curatoriale di BRACE BRACE. Partendo da un’analisi storica, Jacopo Rinaldi ha costruito un dialogo diretto con lo spazio espositivo, incastonando in una delle pareti il libro Gli Anarchici di Cesare Lombroso. “Parlando di proposta culturale, nel nostro contesto il lavoro è comunque quello di fare una selezione di progetti che secondo noi siano validi, è un ruolo etico all’interno del sistema”, spiega Mentasti. E prosegue: “Il fatto di essere indipendenti ci lascia grande libertà nel supportare gli artisti senza dover necessariamente pensare all’aspetto economico di un progetto. Per esempio, non ci siamo fatti troppi problemi a incassare in un muro una prima edizione di Gli Anarchici di Cesare Lombroso”.

BRACE BRACE
“iio sono un disgraziato e il mio destino è di morir in prigione strangolato”. Installation view. Immagini di Francesco Paleari.

Le mostre che si sono tenute a BRACE BRACE vanno ad abbracciare una serie di diversi settori e discipline, con la forte influenza di un approccio legato all’immagine e alla cultura visiva. Questo approccio interdisciplinare di BRACE BRACE è figlio direttamente del percorso formativo dei suoi fondatori. Spiega infatti Mentasti: “Il nostro background personale è molto importante, che poi è anche il motivo per cui siamo riusciti a fare un lavoro di sperimentazione che da fuori sembra molto unitario, proprio perché, avendo molte competenze diverse, nel momento in cui lavorano insieme necessitano di una certa precisione. Ambiti molto diversi ma perfettamente applicabili gli uni agli altri. Io e Francesca ad esempio veniamo da una formazione in Accademia (di Brera n.d.r.), mentre invece Francesco è fotografo”.

Insieme a l’interdisciplinarità, la libertà progettuale di BRACE BRACE viene espressa dall’accompagnamento di artefatti specifici legati ad ogni mostra. Libretti, poster e pubblicazioni inedite accompagnano ogni progetto che prende vita in Via Termopili. “Tutto questo sempre cercando di non brandizzarci troppo”, dice Paleari. “Cerchiamo di rimanere mimetici, non vogliamo mostrare un’identità preponderante o sovrastrutturale all’evento. Ogni artefatto che viene prodotto si cala nella necessità della mostra, cambiando di volta in volta per tipologia e supporto”.

La mostra che si è tenuta a Marsèll Paradise a Milano, A is A is A, accompagnata da un’installazione di From outer space, è stata ideata del graphic designer Marcello Jacopo Biffi e curata da BRACE BRACE. Partendo da una ricerca in ambito tipografico sulla creazione di un alfabeto, arriva ad una riflessione sulla costruzione della lettera come segno a cui viene ricondotta una significazione. “Ci siamo chiesti: cos’è che potrebbe arricchire e che potrebbe dare una ulteriore apertura al discorso?” dice Finotti. La mostra è stata accompagnata da una serie di testi critici, una proiezione e una trasposizione digitale del progetto. In occasione del finissage di A is A is A, dal nome A conversation about the loss of control, spostandosi da Marsèll Paradise a Via Termopili, BRACE BRACE organizza un talk e presenta una pubblicazione inedita di Marcello Jacopo Biffi che raccoglie il lavoro della mostra A is A is A. Spiega Paleari: “La nostra operazione con la mostra di Marcello è stata quella di contaminare il suo lavoro: il progetto era già strutturato, e nel momento in cui incontra noi trova una nuova valvola di sfogo. Questo è il tipo di cose che ci piace offrire.” E continua: “Si tratta di pensare che qualunque progetto vada in mostra possa ricevere una lettura diversa a seconda della persona che lo fruisce; dato che ci rivolgiamo ad un pubblico molto variegato è nostro compito aprire i progetti e palesarne delle connotazioni che sono già insite ma magari non così evidenti”.

Il pubblico variegato è una delle prime cose che si notano partecipando ad un evento di BRACE BRACE. Muovendosi tra settori diversi, il clima che si viene a creare durante le sere degli opening di Via Termopili è una commistione di persone che provengono da vari ambienti, dallo studente dell’Accademia alla signora che abita al piano di sopra. Paleari infatti dice: “Milano è una città dove succedono molte cose, tantissimi eventi diversi, ma ognuno ideato, e di fatto fruito, da persone che provengono il più delle volte dalla stessa cerchia; è davvero difficile trovare tra le diverse realtà una reale commistione di pubblico”.
Ecco quindi che BRACE BRACE si distingue: “Riteniamo che questo sia un grosso valore rispetto a quello che facciamo. Questo eclettismo arricchisce l’esperienza: ci piace pensare BRACE BRACE come un hub attivatore di uno scambio di opinioni e di competenze, anche, e soprattutto, per il pubblico che lo frequenta”.

L’ultima mostra che i membri del collettivo hanno avuto all’attivo, A political Statement, realizzata in occasione di SPRINT 2020, si è dovuta spostare online, con una nuova formulazione pensata ad hoc per il sito di BRACE BRACE. La mostra ha preso forma partendo da un dialogo fra le opere video Rondini di Ginevra Dolcemare e This political statement is a suggestion on how political statements should now be di Guidor.
L’intervento curatoriale di BRACE BRACE consisteva nella realizzazione di due bibliografie relative alle opere, redatte in collaborazione con gli artisti. Così facendo il testo che ha accompagnato la mostra è un incompiuto che lascia al pubblico la possibilità di completare in autonomia l’esperienza. Mentasti spiega: “Pur occupandoci della parte curatoriale, nessuno di noi ha una formazione da curatore, non è vincolato ad una sovrastruttura di conoscenze pregresse che ti dice come dovresti fare una mostra. Anzi, noi da artisti vorremmo fare le mostre esattamente come non dovrebbero essere fatte, di conseguenza tendiamo ad avere un rapporto intimo con il lavoro degli altri, vedendolo quasi come se fosse nostro. A political Statement aveva questa caratteristica, di dire: ‘come curatori, noi vi diamo i libri da leggere per scrivere un ipotetico testo, ma sicuramente non ci mettiamo a scriverlo noi’”.

Parlando dei loro progetti per l’anno appena iniziato i membri di BRACE BRACE hanno le idee chiare: “È molto probabile che la nostra realtà si amplifichi e diventi sempre più dislocata a livello spaziale”, dice Finotti.
Siamo molto aperti sulle strade che il progetto potrà prendere in futuro, stiamo crescendo, stiamo ancora imparando e BRACE BRACE sta diventando adulto”. E Paleari aggiunge: “Sicuramente siamo molto desiderosi di tornare a fare progetti in presenza. È stata una bella sfida trovarci costretti a spostare la programmazione online, ma siamo tutti desiderosi di riaprire le porte nel vero senso della parola. In futuro speriamo di espandere ancora di più la nostra tipologia di proposta culturale”.