Founder del negozio PWC e icona milanese, Maria ci apre le porte del suo mondo fatto di preziosi ricordi della nightlife e scintillanti pezzi d’archivio.

Maria Aminta Daniele, per gli amici e per tutti è Mari.
Parlare con lei è un’esperienza anomala perché nel racconto delle sue mirabolanti avventure di vita, ogni conversazione si evolve e dirama in mille direzioni, ma si anima sempre dell’entusiasmo dell’infanzia. Ne traspare un’anima peculiare e buona, in un perfetto balance tra gentilezza e ribellione che risulta perfino incredibile.

Madrina del famigerato Gasoline, hit club della nightlife milanese negli anni ’90 e 2000, è stata la prima DJ donna di Shanghai, ed ora è la perfetta padrona di casa nel suo pazzo negozio PWC, in zona Col di Lana.
Definirlo un negozio vintage sarebbe a dir poco riduttivo: all’interno di questo spazio raccolto si possono trovare cappelli militari, abiti scenici, spille di propaganda, giocattoli anni ’90, una selezione eccelsa di abiti pre-owned e un’enorme varietà di bigiotteria.

L’abbiamo incontrata per indagare un po’ sul suo percorso artistico e le sue scelte di stile, chiacchierando di vintage, nightlife e di PWC.

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Courtesy of Maria Aminta Daniele

Partiamo dal negozio poi andiamo a ritroso. Raccontami come è nato PWC

Il progetto PWC è nato per gioco. All’inizio era un progetto per suonare nei bagni più belli delle feste di Milano. Lo abbiamo infatti realizzato, anche se per poco. Era un divertimento, non una cosa seria, ma poi il nome ci piaceva talmente tanto che abbiamo deciso di tenerlo per il negozio che abbiamo aperto io e il mio migliore amico Luigi nel luglio 2017. Lo avevamo pensato per dare un servizio diverso dai soliti vintage: volevamo creare una boutique del vintage che proponesse pochissimi pezzi selezionati, in uno stato perfetto. E questo è il servizio che facciamo tutt’ora: tintoria, pulizia, lavaggio, sartoria. 

Quindi il nome PWC non è legato strettamente al materiale? Vedendo la proposta di prodotti ero convinta fosse connesso a questo immaginario.

No no no assolutamente, è legato solo al discorso del WC. Per la P non posso dire il riferimento perché potrei essere denunciata. (ride)

PWC però non è più solo vintage. Oltre ai capi pre-owned e all’oggettistica, all’interno di questo spazio ospiti anche le creazioni di designer emergenti e artisti. Usi un particolare criterio per creare un’identità di stile per il negozio?

Fondamentalmente è tutto basato sulla casualità: la scelta è molto naturale perché ho semplicemente avvicinato i miei amici. Ho la fortuna di avere tra i miei più stretti alcuni dei designer più talentuosi sul mercato italiano, già seguiti molto dai ragazzi. Simon Cracker, Angelo Cruciani con Yezael, Metabolica, Dafne di DADAMAX, ArCLoTh by Alis che fa tutte cose disegnate e graffittate, Silvia Cannarella con le sue cinte-kilt.

Tante volte vengono qui dei ragazzi creativi che propongono sempre nuove cose e hanno indietro le collezioni vecchie. Io le faccio portare e in questo modo, ad un prezzo umano, vengono messe sul mercato con due risultati: in primis il capo viene venduto e allo stesso tempo il designer si crea una vetrina e ottiene una visibilità che magari gli permette di essere conosciuto da qualcuno che si innamora del suo stile e a partire da un capo di una vecchia collezione a 20 euro, può arrivare a comprare un suo capo nuovo. Io faccio le cose di impeto e d’istinto, non ho mai una strategia.

A proposito di strategia tu credi che tutti questi designer emergenti che ospiti siano in qualche modo collegati da uno stile comune?

Sicuramente sì. Alcuni hanno proprio il concetto di recuperare che per me è importante, per me che vesto vintage da quando sono ragazza. Credo che il vintage non debba essere una moda ma una possibilità. Per avere uno stile unico, per ri-amare un capo e per dare anche un messaggio importante contro lo spreco, soprattutto nel nostro momento storico. Questi designer danno una nuova vita in tutti i sensi: lo dipingono, lo personalizzano, creano partendo da qualcosa che già ha una sua forma.

Poi c’è ad esempio Angelo Cruciani che crea un capo da zero e con lui, come anche con Simon Cracker, ho in comune la passione per l’Oriente, la Cina soprattutto. Entrambi sono famosi e lavorano molto lì. Sono stati molto contaminati dall’Oriente, dalla sua tradizione artigiana.

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Credits: Gaia Olga Bianchi

Qual è secondo il tuo punto di vista il reale valore di un oggetto? Dai capi all’oggettistica, sembra che la tua sia una valutazione molto personale, ma sensibile allo stesso tempo.

Quando qualcuno compra qualcosa cerco sempre di raccontare una storia, il significato di un oggetto. Io faccio una selezione per mio gusto. Sono stata bambina negli anni ’80, adolescente negli anni ’90, avevo la discoteca nei ’90/2000, quindi ho cavalcato tutti i trend possibili in questi decenni. Quando vedo le cose me ne innamoro e le prendo, non solo per me ma anche per i clienti del negozio. Vedo una possibilità di far scoprire un frammento di passato a chi non l’ha vissuto direttamente.

Hai guardato il progetto nascere, crescere, cambiare. Come vedi la sua evoluzione?

Sicuramente gli ho dato un taglio più trasversale inserendo giocattoli, spille, oggetti militari. Il vintage deve essere pulito e rispettare chi compra, ma deve anche avere quella componente divertente di cercare e scovare piccoli tesori. La cosa bella di PWC è che si rivolge ad un pubblico trasversale che prescinde dal discorso età, sesso, sessualità… non c’è nessuna limitazione, io voglio che le persone che escono da qui siano felici e si sentano trattate come in famiglia. Ho la mira del far stare bene le persone e conquistare la loro fiducia.

Quest’empatia è la tua stessa carta vincente come DJ? Con una carriera musicale come la tua alle spalle, immagino che il tuo obiettivo fosse creare questo stesso feeling di far star bene le persone.

Esatto, è proprio la mia indole e non potrei fare altrimenti. Io devo creare un’onda musicale. Non ho scalette, devo connettermi con chi ho davanti e capire il loro umore. Ogni volta è una connessione diversa, mi emoziono e mi spavento quasi un po’. A 23 anni ho iniziato con il mio Gasoline, una discoteca iconica famosissima che poi abbiamo venduto nel 2009. Proprio Claudio Coccoluto, venuto a mancare pochi giorni fa, era il nostro resident al venerdì e ha svoltato le sorti del locale.

Poi sono andata a vivere in Cina, cosa che ha influenzato molte mie scelte. Sono stata la prima DJ donna di Shanghai. Ho suonato nei posti più cool della città: Martini, Mao, Bar Rouge, Mint, ho fatto il primo vernissage. Quando sono tornata a Milano mi sono specializzata molto negli eventi per il Salone del Mobile e ho creato diversi format.

Progetti futuri per lo spazio?

Lo voglio espandere ma si va a settembre 2022. Ora è molto difficile per me pensare di aprire qualcosa, io voglio fare un evento di apertura. La mia radice è negli eventi, nella musica, per me è impensabile aprire senza un evento. Non rivelerò molto, solo che sarà un progetto che darà molto spazio ai designer emergenti. Voglio vendere anche altre cose di cui sono appassionata tipo giocattoli, libri antichi…

E la tua carriera musicale?

Ora chiaramente è ferma, ma di certo non è chiusa. Voglio sperimentare molto e in questo periodo ho avuto modo di riflettere e coltivare nuove idee. Sicuramente farò cose diverse da prima, con scelte più selezionate e particolari, ma non vedo l’ora di rimettermi in consolle. La notte è la vita di una città, è il motore. La notte attira stranieri, giovani, divertimento, vita. È linfa vitale. Anche oggi in questa situazione la notte vive e non si ferma. La mia vita è quella.