Una ricerca personale e introspettiva che prende forma e suono in “Peace of Mind”, primo album di debutto da solista in cui l’identità di Arya è perfettamente visibile. 

Sicuramente vi sarà già capitato di ascoltare la sua voce energica, inconfondibile nell’accompagnare i cori durante gli ultimi tour di Venerus e Ghemon. Ad oggi Arya si fa strada nel panorama musicale in un progetto in cui rivela se stessa, la sua visione della musica e cosa ha significato raggiungere questo traguardo
Proprio lo scorso gennaio è uscito l’album d’esordio “Peace of Mind” per la label Atelier 71, un lavoro tanto atteso dove si trova la perfetta armonia tra melodie soul e sonorità hip-hop su cui si collocano le parole di Arya in tutta la sua spontaneità e naturalezza. Un album che, come lei ci rivela, è un album fotografico’ in cui come foto sono raccolti e impressi emozioni, ricordi e incertezze di questi ultimi due anni.

Nata e cresciuta in un famiglia italo-venezuelana dove la musica faceva parte di ogni momento, Arya rivive nella sua musica le proprie origini ma senza interrompere quel viaggio interiore che da sempre la accompagna, libera da qualsiasi confine. 

Ho avuto modo di intervistarla e scoprire cosa c’è dietro il suo mondo, il suo percorso artistico e se finalmente ha raggiunto la sua cantata “pace della mente”.

Partiamo dall’inizio, chi è Arya? Rivelaci qualcosa sul tuo background..

Arya nasce nel 1994 a Milano da mamma italiana e papà venezuelano. Mio papà è cantante di salsa, mia mamma ha suonato il pianoforte per 15 anni: fin da piccola la musica ha sempre permeato le mie giornate, a casa, nei viaggi in macchina, ai concerti. C’è questo aneddoto che i miei amano raccontare. Eravamo ad un concerto di mio papà ed era una di quelle occasioni in cui io e mia mamma lo seguivamo in tour. Sul palco c’era un’orchestra completa che picchiava durissimo. E poi io, praticamente sotto palco, addormentata come un angioletto, tranquilla come quando eravamo a casa. Le mie giornate sono sempre state piene di suoni. Il silenzio era l’eccezione e forse è per questo che lo ricerco così fortemente da grande.

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Se dovessi descriverti in 3 parole, quale sceglieresti?

Direi determinata, positiva (anche se ora mi fa un po’ strano dirlo) e nostalgica. Per un momento ho pensato di scegliere “malinconica” ma la saudade è ciò che mi rappresenta meglio.

In un momento in cui tutto sembra fermo è bello sapere che qualcosa si muove per nascere, così come il tuo progetto musicale. Forse non sapevamo di averne bisogno ma in realtà è davvero una ventata d’aria fresca e nuova che si distingue dal resto della scena indipendente. Qual’è stata la scintilla che ti ha portato ad iniziare il tuo viaggio personale nel contesto musicale?

Ho sempre pensato che fare musica sarebbe stato il mio destino ma ho iniziato ad immaginarlo realisticamente nel 2018, quando ho cominciato a collaborare con Idriss e Dimitri, i fondatori della mia etichetta (e famiglia) Atelier 71. Abbiamo osservato fin da subito una sinergia naturale e inedita, nulla di ciò che avessi provato fino ad allora. Fino ad ora è stato un viaggio meraviglioso, pieno di sorprese e tante scoperte.

La tua produzione musicale ha questo legame indissolubile con sonorità quali il nu soul, l’hip hop e l’r&b. Come è iniziata questa relazione d’amore?

Chi mi ha fatto davvero capire come questi mondi siano indissolubilmente legati è stata Lauryn Hill, il mio primo amore. Da lì ho cominciato ad esplorare e ad avventurarmi in questi mari, senza la paura di identificarmi in questo o in quel genere. Recentemente ho ascoltato tanto Jazmine Sullivan, Snoh Aalegra, Blxst, HER

Il tuo album di debutto “Peace Of Mind”, uscito a gennaio, suona come qualcosa di maturo e consapevole, una storia avvolgente che racconta perfettamente di te. C’è qualcosa che hai iniziato a realizzare su te stessa mentre ci stavi lavorando?

Semplicemente che stavo crescendo. Scrivere per me significa mettere nero su bianco paure, insicurezze, momenti di consapevolezza, gioie. E’ come farsi un’auto-analisi e necessariamente si affrontano passaggi dolorosi, ed è attraverso il dolore che si cresce. 

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Ascoltando il tuo EP si percepisce un Arya molto riflessiva, alla ricerca costante del perfetto equilibrio, la tua ‘pace mentale’. Quale traccia rappresenta al meglio questa continua ricerca? 

Direi “The Art of Letting Go”. Già il titolo è abbastanza esplicativo! Sono sempre stata una maniaca del controllo, su di me e sul mondo che mi circonda. Oggi so che ci sono cose su cui non ho alcun potere e va bene così, le persone vanno e vengono e non c’è nulla che io possa fare per farle restare se non essere me stessa ed essere trasparente.

Molte persone trovano terapeutico e catartico il coinvolgimento nel processo di produzione e scrittura della musica. Per te, fare musica è uno strumento per elaborare determinate esperienze?

Assolutamente. Come dicevo prima, per me la scrittura è una forma di auto-analisi: smuove energie molto potenti in chiunque sia coinvolto. Spesso in studio si crea una sorta di bolla di energia che esclude tutti gli esterni, è come se il tempo si sospendesse, è davvero una sensazione fortissima.

A questo punto non vediamo l’ora che arrivi un live tutto tuo!

Speriamo accada il primo possibile!!

Credits

Art director, Styling & Set Design: Federica Intraligi

Photographer: Gaia Olga Bianchi

Ass. Photographer: Carlotta Zamboni

Editorial design: Federica Borghesio 

Make up artist: Giulia Panaro

Clothes courtesy of PWC: Vintage Max Mara silk Coral Set, YEZAEL ss18 purple dress