La collettiva che si presenta come una formula meditativa per la riscoperta delle memorie collettive. Dal 19 giugno al 10 settembre, Via XX Settembre 91, (VR).

Ardere, Ardere, Ardere, Ardere, primo progetto promosso da Sa.turn, prende vita in un magazzino abbandonato in via XX Settembre a Verona. In questo spazio di transizione e trasformazione si compie il rovesciamento culturale promosso da Situated art turn, piattaforma di ricerca curatoriale nata nel 2020 tra Milano e Verona. L’obiettivo è di rovesciare il punto di vista di osservazione dal quale si analizzano i fenomeni contemporanei.

La collettiva, curata da Arnold Braho e Maddalena Pippa, supera la memoria di un passato univoco, interrogandosi sul ruolo delle rovine e la loro valenza all’interno del tempo presente.
Si insinua tra le crepe e le macerie dell’edificio decadente, colmandole tramite un disinvolto scivolare da una tecnica all’altra. La commistione di linguaggi e la ricchezza materica combinano trasversalmente le tracce lasciate dalle opere riportandole a un medesimo orizzonte di senso: indagare la perdita di significato della struttura simbolica delle immagini.

Le opere, sparse come resti in un sito archeologico, raccontano di un mondo destituito di limiti temporali, ricostruendolo al tempo stesso come un agglomerato di testimonianze sociali. 

ardere-ardere-saturn-platform
Courtesy of Sa.turn Platform

Ad imporsi con prepotenza, in un gioco tra interno e esterno, la video documentazione di Valentina Parati (1996). I frame dimostrano l’affermarsi della club culture come estranea alla cultura dominante.

Mentre le sculture in marmo sintetico di Nicola Ghirardelli (1994), usurpano alla città moderna dettagli architettonici antichi. Disseminate nello spazio, come residui strutturali risvegliati e raccolti tramite la tecnica del calco dialogano con le tele monocromatiche di Ludovico Orombelli (1996). Le stesse, innalzano a documento storico oggetti di uso quotidiano grazie allo strappo, tecnica di conservazione per le pitture murali usata fino agli anni ’50. 

Il mormorio delle voci strozzate di Giordano Cruciani (1995) arriva direttamente da una fessura nella muratura. Rimbomba, ci attira a sè per ricordarci che la tradizione orale, seppur trascurata, raggiunge i posteri sfidando l’avanzare del tempo. Tempo che i rifugi costieri di Cecilia Di Bonaventura (1996), hanno vissuto a cavallo tra le due guerre mondiali; le testimonianze fotografiche, trasformate in un bersaglio analogico simulano uno sbarramento, un confine, una linea di difesa, che diventa monito per l’agire comune. 

Courtesy of Sa.turn Platform

In conclusione, l’immaginario videoludico penetra nei luoghi più intimi di Matteo Messina (1994). Qui oggetti di uso quotidiano, simbologie virtuali, found footage e giornali producono delle fonti contemporanee sulla relazione con l’altro nell’era della gamification. 

Come degli scavi che mostrano ai passanti le cicatrici del tempo, Ardere, Ardere, Ardere, Ardere, vuole mostrare la capacità di tenere accesa la scintilla. Quella fiamma in grado di riavviare un processo di riflessione sui movimenti e sulle esperienze che hanno guidato la storia, costruito la nostra identità e plasmato l’ideologia collettiva.