L’acqua, simbolo polivalente: tra sessualità e società.
Quando fotografo uno splash, lo fermo un attimo e diventa qualcos’altro. Mi rendo conto che uno splash non potrebbe mai essere visto in questo modo nella vita reale, succede troppo velocemente. E mi è piaciuto, quindi l’ho dipinto in un modo molto, molto lento. (Kinley 1992)

L’opera A Bigger Splash di Hockney raffigura una scena di apparente tranquillità, dove tutto è al suo posto. La sedia, il trampolino, i colori e anche le piante sono messe al loro posto e ben curate, fornendoci uno scenario tipico della West Coast californiana delle ville con piscina degli anni Sessanta. Eppure sembra immediato chiedersi: che fine ha fatto la presenza umana? La donna, l’uomo, il bambino o il vecchio, qualunque fosse il soggetto della tela, dov’è finito? Dove si nasconde?

Nell’opera A Bigger Splash c’è un chiaro riferimento a un tuffo, un salto, ma l’essere umano non è menzionato. Non compare nemmeno l’ombra del nuotatore. Quindi, da un punto di vista descrittivo, è certo che l’immersione sia stata resa esplicita dalla presenza di colori diversi e rapide pennellate che contrastano con il colore dell’acqua della piscina. Ma da un punto di vista connotativo l’opera evoca una scena veloce, rapida che si scontra con i colori pacati di il paesaggio circostante. Ma può l’assenza di ‘un essere umano’ farci percepire che sia successo qualcosa a livello narrativo?

D’altronde non bisogna dimenticare che il regista Luca Guadagnino nell’omonimo film A Bigger Splash ha inscenato un omicidio traendo appunto ispirazione dall’atmosfera silenziosa di questo dipinto.
In questo articolo, riconsidererò la presenza dell’acqua nei dipinti di Hockney attraverso una prospettiva di genere, perché esaminando questa tela, appare molto difficile trovare il tipico copione intertestuale di una violenza.

DAVID HOCKNEY A BIGGER SPLASH
A Bigger Splash (1967), David Hockney. © David Hockney

Non esistono frame in grado di codificarlo in questo senso. Anzi, sembra più probabile che si tratti di un copione piuttosto che di una semplice immersione. Potrebbe essere che il protagonista, dopo essersi tuffato, stia ancora nuotando in piscina anche se questa azione non ci viene esplicitata. D’altra parte, non ci sono tracce che possano dirci che si sia trattato di un omicidio. Nel caso di uno sparo avremmo visto il sangue mescolarsi con l’acqua, in caso di suicidio, ci saremmo accorti di un segno, di un oggetto come di un possibile cappio, e così via. Dopotutto, dobbiamo ricordare cosa simboleggiasse la piscina all’epoca.

Proprio in America, Hockney riscopre una tavolozza ricca di colori e di soggetti da lui ritratti appaiono subito più luminosi e pieni di vita, pur rimanendo fedele ai suoi temi chiave come l’esaltazione dell’omosessualità, la contemplazione dell’amore erotico, e l’unione indissolubile tra forma e atmosfera. L’America e la realizzazione del sogno americano sono rappresentati nei suoi dipinti come oggetti specifici: vere piscine.

Infatti, Hockney in California scopre che quasi ogni residente ne ha uno, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza. Piccola o grande, questa realtà si oppone enormemente allo scenario inglese da cui proviene l’artista, dove possedere una piscina era sinonimo di opulenza e lusso limitato a una ristretta cerchia di persone. Da qui la decisione di analizzare e comprendere questi nuovi spazi, anche immortalando il flusso dell’acqua: ecco come nasce la serie Splash tra il 1964 e il 1971.

Hockney splash
Portrait of an Artist (Pool With Two Figures) (1972), David Hockney. Photo: Art Gallery of New South Wales/Jenni Carter; © David Hockney

A Bigger Splash è stato dipinto tra aprile e giugno 1967 quando Hockney insegnava all’Università dalla California a Berkeley. Questa tela è seguita da due dipinti analoghi: A Little Splash e The Splash. Nel dipinto A Bigger Splash vediamo un trampolino che sporge dal bordo verso il primo piano del dipinto e “il tuffo” è rappresentato da macchie blu combinate all’interno di linee bianche sull’acqua turchese.

Lo sfondo è una villa moderna con un tipica ambientazione americana che ricorda gli scatti del fotografo Julius Shulman: arredi dai colori tenui e grandi finestre come porte scorrevoli in cui si riflettono le piante tropicali circostanti. Quest’opera rappresenta una scena di apparente tranquillità, dove ogni cosa è al suo posto.

In A Bigger Splash l’acqua, nella sua simultanea fluidità e tensione, nella sua coesistenza di “superficie” e “profondità”, è, quindi, una metafora che rappresenta la atto trasgressivo del “tuffo”, come l’essere umano che infrange le regole. Invece della morte, come legge Guadagnino, A Bigger Splash sembra suggerire forza, autostima e grande aderenza alla vita. L’acqua, nella sua simultanea fluidità e la tensione è, quindi, una metafora perfetta che rappresenta e riproduce integralmente l’atto trasgressivo del tuffarsi, come dell’umano essere chi infrange le regole.

Dobbiamo sempre tenere a mente l’atteggiamento del giovane Hockney che in America percepisce la piscina come il riflesso perfetto della società americana di quegli anni, in cui il potere erotico rivela un’atmosfera libera dal social pression della Gran Bretagna del dopoguerra. In particolare ci riferiamo a Two Men in a Shower del 1964 o al Paper Serie Pools , in cui corpi maschili nudi spesso fanno capolino sulle tele in forma di modelli statuari dell’antica Grecia. In questa dimensione ultraterrena, la piscina diventa “la Mecca del divertimento”.

Hockney splash
Domestic Scene Los Angeles (1963), David Hockney. © David Hockney

Chiaramente la piscina è solo un soprammobile per riflettere su chi lo vive, sui protagonisti hollywoodiani di quegli anni, esaltando il proprio status symbol ma soprattutto imponendosi come a esprimere desiderio erotico, voyeurismo e uno stato embrionale tra natura e cultura.

Un altro progetto molto interessante che immortala la società californiana dagli anni ’40 agli anni ’80 è Backyard Oasis: The Swimming Pool in Southern California Photography, una mostra curata da Daniel Cornell nel 2012, con i seguenti artisti tra cui Bill Anderson, John Baldessari, Ruth Bernhard, David Hockney, Herb Ritts, Ed Ruscha, Julius Shulman e Larry Sultan. Le loro opere d’arte avevano un obiettivo in comune: proporre la piscina come simbolo polivalente, capace di rappresentare una società in cui l’ascesa delle celebrità, il disegno del paesaggio architettonico d’avanguardia, il culto del corpo e della nudità maschile si fondono.

Riguardo a quest’ultimo aspetto, impossibile non citare il famoso fotografo Bob Mizer, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta fu il portavoce del nuovo Modello Beefcake (che può essere tradotto in “grande bistecca” o “bel manzo”), un termine che indica il corpo maschile muscoloso, nudo o seminudo ritratto in piccolissime costumi, proprio come è successo con le pin-up. Altre rappresentazioni della società dell’epoca si trovano nelle recenti produzioni di Assassination Versace di American Crime Story o a Hollywood dal famoso Ryan Murphy.

Questi sono solo alcuni degli innumerevoli esempi cinematografici che ricalcano la piscina come un luogo al di là delle convenzioni sociali come la villa di Miami in cui lo stesso Gianni Versace amava rifugiarsi con il suo compagno e dove il suo stesso carnefice Andrew Cunanan di solito nuotava spensierato in completa nudità. A Hollywood, invece, lo spazio della piscina privata è il luogo di incontro per eccellenza di artisti, registi e scenografi omosessuali che potevano indulgere in effusioni e ammirazione del proprio corpo senza timore di alcuna interferenza mediatica.

Questa lunga attenzione data al corpo maschile, alla nudità ma soprattutto all’antico ideale di καλὸς καὶ ἀγαθός è descritto in chiave prevalentemente platonica in Call Me By Your Name di Luca Guadagnino. E’ il terzo ed ultimo film appartenente alla Trilogia del desiderio del regista dopo I Am Love e A Bigger Splash ispirata all’omonima tela di Hockney, reinterpretata in chiave thriller.

call me by your name 2017
Call me by Your Name (2017) / Directed by Luca Guadagnino / © Sony Pictures Classics

In Chiamami col tuo nome il morso di una pesca, un giro in bicicletta e un contatto accennato stuzzica la storia d’amore tra i due protagonisti: Eliot, un giovane adolescente e Oliver un dottorando in archeologia. In numerose sequenze, l’adorazione e la contemplazione del corpo nudo e statuario di Oliver sono paragonate alla fisionomia dei busti classici. In particolare, in una scena, il giovane Eliot, impaziente di vederlo nudo e sedurlo, si riferisce ad Oliver con: “Andiamo a fare un bagno”. Da questo momento inizierà la loro storia e il loro desiderio erotico.

Ci sono diverse leggende e fonti sul flusso dell’acqua, l’origine della vita, la scoperta di sé e della propria sessualità. Basti pensare a Talete, uno dei primi filosofi della storia, che credeva che il flusso dell’acqua corrispondesse al principio iniziatico; o le leggende che raccontano di morti traghettati nel fiume Lete, che sembrano dimenticare tutto dopo aver bevuto l’acqua del fiume, tornando a uno stato di inconscio primitivo.

La doccia, il bagno e l’acqua, in generale, sono intesi come fenomeni e rappresentazioni di rinascita e riscoperta di sé. Eppure, negli anni Sessanta, va ricordato che stiamo assistendo a una progressiva apertura di bagni pubblici e spazi da condividere, dove la mancanza di distinzione di classi sociali ha generato una fervida esplorazione sessuale di tipo universale.

Inoltre, ancora oggi si parla di “sessualità fluida” forse come riflesso della teoria già messa in atto da Bauman in Liquid Love e Liquid Life, per cui è necessario che l’essere umano, sia in amore che fuori, si definisca fluido e allo stesso tempo versatile per sposarsi e fondersi con una società in continua evoluzione. In una perfetta “società liquida” descritta da Bauman: “Hockney, le superfici della piscina bruciano sotto il sole della California. E con loro anche il desiderio”. (Heardman 2018)