Calcúra è un editorial visual journey attraverso la Sardegna: tramite una serie di conversazioni e racconti fotografici Acre ha creato un percorso showcase della scena creativa sarda.
Diverse sono state le voci che si sono raccontate. Ognuna di esse rappresenta un intreccio, una radice nel terreno che crea mondi intimi che aspettano solo di essere scoperti.

La ricerca di Francesco Frulio, designer sardo, nato a Londra, ha come cardini l’intuizione e l’approfondimento. Grazie ad essi Frulio crea ponti narrativi e nuove relazioni profonde, tra il design e altri campi disciplinari. Coltivando amore verso la terra sarda, ne trae ispirazione e con il suo lavoro alimenta l’idea di un design meno individualista, più umano, capace di raccontare storie attraverso gli oggetti. L’abbiamo così intervistato per il progetto Calcùra.

Raccontaci di te e del tuo percorso nel mondo del design fino a questo momento.

Mi chiamo Francesco Frulio, sono nato a Londra per poi tornare con i miei genitori in Italia, in Sardegna. Il mio percorso è stato fin da bambino interessato al disegno, all’arte tant’è che a mia madre dicevo ‘voglio fare l’inventore da grande’. Dopo la scuola mi è venuto naturale proseguire su questo tipo di tematica di studio, e mi sono iscritto alla facoltà di architettura e design di Alghero. Qui ho potuto studiare con Tobia Scarpa, Paolo Deganello, Manlio Brusatin e altri maestri del design e delle arti italiane.

Dopo aver conseguito la laurea in design industriale ho scelto di proseguire il mio percorso al Politecnico di Milano sempre in design del prodotto dove contemporaneamente sono stato ammesso all’Alta scuola politecnica. In questi anni di studio ho sviluppato un approccio in cui mi piace creare connessioni, dei ponti inaspettati tra discipline e quindi anche un design che crea e trasmette delle storie, o che abbia al suo interno o nel suo background un racconto particolare.

Quindi un design che unisce, un design che crea connessioni inaspettate per creare oggetti nuovi che raccontino delle storie. È proprio quello il bello, trovare delle cose di design in cose che non ti aspetteresti.. e raccontarle in un modo che trova senso nel modo di essere del progetto.

Che posto hanno concetti come quello di riduzione, di riuso, di riciclo nei tuoi progetti?

Diciamo che il concetto di riduzione fa parte del mio modo di progettare. È molto difficile, è più difficile ridurre che aggiungere. Questo fa parte del mio modo di progettare oggetti semplici ma che, come ho detto, racchiudono una storia, un racconto al proprio interno. Nel modo di progettare prediligo la storia e il modo in cui l’oggetto viene raccontato: nel Manfred non è la funzionalità a guidare il mio progetto ma è quello che voglio raccontare.

Con Manfred volevo far vedere che c’era una connessione con il mondo degli aerei e quello della casa. Ho trovato appunto un ponte che risiede nella struttura delle ali degli aerei e volevo raccontare quella che è la storia di un oggetto che è l’ala dell’aereo, molto ingegneristica, ma che ha una sua bellezza intrinseca, scultorea, che poteva essere applicata a un oggetto di tutti i giorni come quello domestico.

Mentre per esempio nel barattolo di Nutella, quello che ha guidato il progetto è stato trovare un nuovo approccio all’apertura del barattolo. E’ sempre quello che mi guida, il racconto, quello che voglio spiegare. Parto da questo, diverso da altri designer che partono con ‘il mio oggetto deve essere essenziale’. Alcuni lo chiamano minimalismo, altri razionalismo. È un modo loro di approcciarsi al progetto, il mio è raccontare una storia

Per quanto riguarda il riutilizzo e il riciclo del materiale, è una tematica molto sentita e a me cara soprattutto dai primi anni di università. Infatti ha guidato il progetto di FiberFlax con il conseguente riutilizzo di materiali come gli scarti della lana, il lino, che fanno parte della nostra tradizione o della resina, ricavata da scarti della lavorazione del legno e della carta. È uno degli aspetti che un progettista oggi deve considerare, al di là che il suo approccio sia più funzionalista o design art.

francesco frulio manfred
Courtesy of Francesco Frulio

Raccontaci come nasce uno dei tuoi progetti. Segui un percorso preciso? Da cosa prendi ispirazione?

Spesso come in molte cose della vita, gli incontri sono casuali, succede con gli amici, in amore e così anche nel design, molte cose non te le vai a cercare ma ti capitano. Mio padre colleziona libri antichi, quindi sono cresciuto in mezzo a vecchi volumi. Un giorno, sfogliando nella biblioteca di casa, mi è capitato un libro di ingegneria aerospaziale. Rimasi molto affascinato da quanto questi oggetti fossero scultorei e di quanto però non si percepisce proprio perché fanno parte di oggetti che sono considerati funzionali.

Mi piace fare un po’ come facevano i flâneur in Francia e girare per la città e guardare, perdersi nella città. Delle volte noti delle cose, degli aspetti che non avevi immaginato. Quelle cose rimangono lì, sopite, nascoste e poi invece nei momenti come questo ti vengono fuori.. È il caso che si unisce alle necessità. Molti ne fanno una scuola di progettazione, quella del service design che studia queste cose per creare oggetti e applicazioni che sono user friendly.

A me piaceva l’idea di cambiare e di dare una nuova gestualità. Ti devi sempre mettere dalla parte dell’utente anche solo per dire: quest’oggetto, me lo mettersi in casa? È bello? Ha una sua valenza estetica? Il progettista, per me, deve porsi sempre dall’altra parte, c’è un po’ di empatia.

fiberflax
Courtesy of Francesco Frulio

Abbiamo notato che il tuo legame con la Sardegna si può rintracciare in aspetti dei tuoi lavori come la ricerca e la scelta dei materiali. Che rilevanza ha per te il rapporto con l’isola? 

La Sardegna dal punto di vista delle forme, dell’artigianato, è stata importante per sviluppare quello dicevo prima: un’estetica essenziale nel mio modo di progettare. Sicuramente penso che vivere in Sardegna abbia i suoi pregi e i suoi difetti. L’idea di vivere in un isola con poche cose ti spinge ad essere più curioso e quindi a voler esplorare, a voler conoscere tanti aspetti. Forse proprio il fatto di essere cresciuto in un’isola, amplifica la curiosità perché vuoi vedere cosa c’è oltre.

Questo traspare nella mia progettazione in una grande curiosità di ricerca. Anche quando sei stato fuori per diverso tempo tendi a tornare verso le tue radici e guardare quello che hai a casa. C’è stata una riscoperta dei luoghi, dell’artigianato che hanno poi influenzato quei progetti che mi hanno fatto rivalutare molto il mio essere sardo e l’heritage che l’isola può dare.

La Sardegna ti entra dentro anche se tu non te ne rendi conto. Magari nel modo in cui progetto, in cui sono, anche l’essenzialità delle forme, l’idea del racconto e del raccontare. La Sardegna è un’ isola molto narrativa, che devi vivere e ti devono raccontare per poter capire le sue contraddizioni. Forse la voglia di raccontare gli oggetti, di raccontare se stessi, è la voglia di svelare cose che normalmente non si saprebbero.