Calcúra è un editorial visual journey attraverso la Sardegna: tramite una serie di conversazioni e racconti fotografici Acre ha creato un percorso showcase della scena creativa sarda.
Diverse sono state le voci che si sono raccontate. Ognuna di esse rappresenta un intreccio, una radice nel terreno che crea mondi intimi che aspettano solo di essere scoperti.

Quello di GianMarco Porru è un percorso artistico in equilibrio tra la staticità e il dinamismo, dove teatro, arti performative e fotografia trovano spazio di confronto e scambio continuo. Oristanese ma con base a Milano, la sua ricerca personale trae dall’indissolubile legame con l’isola forme di stupore che apportano una forte componente poetica e sacra ai suoi lavori. Questi, inseriti in una più ampia riflessione, prendono forma a partire dalla centralità di tematiche quali il corpo collettivo, la memoria e la ripetizione del gesto, la ritualità, la festa. L’abbiamo così intervistato per il progetto Calcùra.

GianMarco Porru
Credits to GianMarco Porru

Raccontaci di te, della tua formazione e di come sei arrivato alla varietà di linguaggi artistici che oggi caratterizzano il tuo lavoro. 

Sono Gianmarco Porru e il mio percorso, la mia formazione, è un po’ insolita perché non ha avuto una direzione precisa. Ho iniziato a studiare a Sassari dove facevo l’Accademia di Belle Arti. Ho anche portato avanti la formazione nel teatro, che è poi continuata a Milano, presso l’Accademia di Brera. Così ho portato avanti questo doppio binario tra formazione nel teatro e contemporaneamente nelle arti visive. Anche nella ricerca personale era sempre molto forte questo dialogo tra qualcosa di immobile, – avendo poi studiato fotografia – , qualcosa di statico, di estremamente controllato e qualcosa di molto vivo, che erano un pò tutti i linguaggi del teatro, delle arti performative ma anche della danza.

Tutti linguaggi che in qualche modo ho sempre corteggiato. Nell’ultimo periodo poi, il tentativo è stato quello di unire questi linguaggi e provare a trovare un modo per farli dialogare, per farli coesistere, per provare a togliere una qualsiasi forzatura data da un media. 

Quindi mi piace occuparmi di arte, di arti visive ma stare sempre molto in contatto con tutto quello che accade nel teatro. Ad oggi sono parte di un progetto che è in teatro e corrisponde a un format teatrale, a cui mi piace partecipare da artista visivo proprio come forma di corteggiamento di questi linguaggi performativi. 

Il legame con la Sardegna scomoda poi tutto un universo molto più poetico della ricerca, del mio fare ed è sempre un punto di partenza. Si, guardo tante cose, leggo tante cose, vedo tante cose, ma posizionare la Sardegna in un disegno un pò più grande, avvicinandola ad altri modi e culture, è sempre quello che mi interessa. Resta sempre il punto di partenza anche quando faccio delle cose che sono molto lontane. Ma trovo sempre il modo di tornare a casa e capire quali sono le cose che mi appartengono e delle quali posso parlare. 

Gianmarco porru lsdp
Credits to Sara Meliti e GianMarco Porru

Prendiamo come punto di riferimento alcuni tuoi lavori come Senza titolo (Molto vicino al cielo), L.S.D.P. : che ruolo ha il corpo sia in quanto singolo che come dimensione corale? 

L’idea di corpo e l’idea di analisi di questo grande media che è il corpo, non mi appartiene più di tanto. Mi interessa, però non mi sono mai domandato troppo cosa può un corpo.. Ho sempre pensato a una dimensione di corpo corale e ho sempre pensato forse a una cosa molto brutta, ossia al corpo come uno strumento che mi serve per raggiungere, per strutturare un’immagine. Parlare di corpo per me è molto difficile, se esiste, esiste un corpo che è parte di una comunità, una coralità.

Si, un gruppo, un corpo collettivo, che poi in fondo è una collettività che porta a una serie di pratiche abituali, abitudinarie, a una serie di rituali. Forse è la prima volta che ci penso. È un corpo inserito in una collettività e non è mai un corpo singolo. Di sicuro è un corpo che ha memoria, che ha incorporato tutta una serie di cose date dall’essere inserito in un contesto geopolitico. Sicuramente ha queste memorie e anche quando lavoro con i corpi le ricerco, questo tipo di abitudini, di movimenti, movimenti ripetuti all’infinito. Faccio tutto un lavoro di ripetizione, di libertà di movimento, di restringimento del movimento di funzionalità dei movimenti in scena. Sono tutti dei movimenti e dei gesti che derivano da qualcos’altro.

Quando li riconosco e li inserisco nei lavori sono parte di un vocabolario che già conosco in qualche modo. Ecco il punto di partenza era L.S.D.P. e Molto vicino al cielo, dove di sicuro esiste tutto questo corpo collettivo. Inoltre esiste tutta una serie di gesti e di azioni che già esistevano e che ho ripreso da una serie di danze popolari, di tradizioni. Danze che poi, tramite tutta una serie di processi di rallentamento, di ripetizione, le ho fatte diventare un’altra cosa.

Molto vicino al cielo è un L.S.D.P. un pò meno coraggioso: volevo lavorare su sagra di primavera ma ancora non riuscivo, non mi sentivo pronto a lavorare su tutta questa drammaturgia con tutti questi capitoli. Allora ho fatto un passo indietro e detto lavoriamo un attimo a una sorta di training. Dopo un anno più o meno è arrivato L.S.D.P. che si porta dietro tutto quel processo creativo e ideativo.

GianMarco Porru
Credits to GianMarco Porru

Raccontaci del tuo rapporto con la festa e la mitologia, sempre in relazione a tuoi lavori recenti come la serie fotografica Sweet Fritters Ballad

Sono entrambe sempre molto presenti. Ho un rapporto molto stretto con la mitologia ma soprattutto con la parola raccontata, con il racconto, con la storia, con il racconto soprattutto orale. La maggior parte delle cose nei miei lavori partono da delle piccole o grandi storie come Medea – farò un altro lavoro su Medea e probabilmente anche un altro. E anche la tematica di festa che ha a che fare con l’idea di corpo collettivo, in una comunità, dove le feste sono occasioni di utilizzo del tempo libero.

Anche l’ultimo lavoro, quello di Mediterranea era su uno spazio che potesse ospitare una festa, la quale potesse essere una sagra di primavera. Le cose si susseguono poi come in una normale ricerca e vanno sempre un pò più in profondità. L.S.D.P è una riscrittura dell’opera di Stravinskij che è Sagra di primavera, ho trovato nella sua struttura e nello sviluppo dei capitoli un mondo molto simile al carnevale in Sardegna, sopratutto a quello di Oristano.

Muovendosi poi all’interno del carnevale mi interessava capire quale fosse un travestimento che fosse democratico, che abbracciasse tutto. Ricercando e falciando fuori mamuthones, boes, thurpos, buttudos, ho trovato in Barbagia, una maschera che è un travestimento base: un lenzuolo, tu mi dai i tuoi vestiti, io ti do i miei, ce li scambiamo e siamo qualcun altro e facciamo festa insieme. Mi piaceva questa soluzione che non fosse stata istituzionalizzata, mai stata congelata in un display museografico. Anche i mamuthones, i boes erano così ma appena vengono inseriti in una sfilata, in una processione, diventa qualcosa che deve rimanere così e si perde quella freschezza dell’aspetto familiare, di una comunità.

Ho tentato quindi di riprendere questo metodo per mascherarsi e di fare poi un lavoro fotografico, cercando poi di ricostruire i look come venivano costruiti i travestimenti e dal punto di vista della struttura delle immagini come se fosse una festa di gruppo. La cosa molto bella è che si crea così qualcosa di molto fluido, dove non si capisce più chi si è da un punto di vista del genere. Ma anche in un aspetto molto magico e misterioso, che è qualcosa che mi interessa molto.

La magia, il mistero, la possibilità di poter diventare qualcos’altro attraverso degli strumenti quotidiani, domestici, quindi anche il mascheramento. Tra l’altro si ricollega a Medea perché con questo capitolo che vorrei fare di Medea dopo la bandiera del Maga, c’è una riscrittura di Medea. Mi piacerebbe lavorare anche da un punto di vista video a una riscrittura di Medea, – che non è mia ma è Christa Wolf che riscrive questa Medea -, in qualche modo cavalcando ancora queste pratiche carnevalesche per riportarle a qualcos’altro di più grande. Per riposizionare ancora la Sardegna in un’area Mediterraneo più grande, più ampia. 

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Credits to GianMarco Porru

Abbiamo notato oltre a una certa attenzione al tema del costume, collaborazioni con brand quali Marco Rambaldi, Fantabody, Lessico Familiare. Parlaci del tuo legame con la moda e col mondo del tessile in generale.

In realtà sono un appassionato di moda, mi piace, mi interessa e mi affascina molto, come nel caso di Marco Rambaldi un assetto ideologico, un assetto teorico molto preciso che condividiamo. 

Mi immaginavo questi corpi molto giovani e belli (Gianmarco Porru si riferisce a L.S.D.P, il cui lavoro di preparazione ha visto Gianmarco alla conduzione di una classe di danza contemporanea del Dancehaus), infatti anche con loro ho fatto tutto un lavoro di body positivity, le ragazze erano tutte molto diverse, quindi mi interessava dal punto di vista dei costumi qualcosa che fosse molto giovane. In più avevo scoperto Carolina Moretti, di Fantabody, che aveva tutto questo filone di corpi molto diversi, un’immagine perfettamente calzante con quello che volevo io.

La moda, il tessile, tutto questo universo qua mi interessa moltissimo, come anche il modo di vestirsi legato alla tradizione. Della Sardegna mi interessa come qualcosa diventa costume, come il colore diventa il colore di un paese, come una tipologia di fazzoletto legato così diventa caratteristico di un posto. Tutto ciò che mi può interessare da un punto di vista formale, sociologico, antropologico ma anche poetico. Ad esempio i costumi della Barbagia che sono tutti legati alle varie fasi della vita, a un riconoscimento sociale.

Il costume poi si porta dietro tutta una serie di modi di stare al mondo, ed è questo che in fondo mi interessa. Ho in mente di trasformare una performance che sia poi una sorta di sfilata. Mi collego alla moda ma con la libertà dell’arte quindi senza una canonica vestibilità e usabilità. Fare una piccola parentesi di una collezione mi piacerebbe moltissimo. Non so perché per qualcuno sia superficiale la moda, mi sembra assolutamente profondissima. 

Considerando la tua attenzione e il tuo richiamo verso le tradizioni mediterranee, qual è il tuo rapporto con una città come Milano dove vivi e lavori? 

Milano per me è soprattutto questo: tanto confronto e mettersi in discussione in una comunità che ha tantissime sfaccettature. Questo è quello che mi ha dato Milano in termini di arricchimento culturale. Un confronto continuo, un pensare il lavoro guardato da altri punti di vista, non solo dell’arte ma anche da altre discipline. Mi interessa moltissimo la multidisciplinarietà delle cose, che possano dialogare, mettersi in contatto con qualcos’altro.

Al contrario, con la Sardegna ho un altro tipo di nutrimento perché mi sembra bellissima, molte cose me le vado a cercare in cose stupide, poetiche come aprire gli scatoloni vecchi dei miei nonni e vedere che coperte ci sono, fino a insistere sui racconti di mia nonna.

D’altra parte però credo che la Sardegna non mi dia la possibilità di fare quel piccolo passo in più che fai se quelle cose le perdi. Se non le hai allora te le devi riprendere, le devi ricordare, devi metterle sotto un’altra forma e le devi in qualche modo ricostruire. Quando sono qua quelle cose le ho e arriva sempre il momento in cui sono veramente mie. Invece quando mi sposto è come se le avessi già ereditate, come se già avessi tutto quel materiale e in qualche modo la possibilità di utilizzarlo.