Calcúra è un editorial visual journey attraverso la Sardegna. Tramite una serie di conversazioni e racconti fotografici Acre ha creato un percorso showcase della scena creativa sarda.
Diverse sono state le voci che si sono raccontate.
Ognuna di esse rappresenta un intreccio, una radice nel terreno che crea mondi intimi che aspettano solo di essere scoperti.

Scegliere un mezzo e farne il proprio strumento e oggetto di ricerca. Un ponte che permetta l’esplorazione dello spazio tra il e l’altro. È questa la fotografia per Piera Masala, giovane creativa sarda, che senza etichettarlo in un genere prestabilito, utilizza il mezzo fotografico in quel movimento personale e intimo che è la propria costruzione identitaria. L’ abbiamo così intervistata lo scorso agosto durante il nostro viaggio in Sardegna X Calcùra.

Piera Masala fotografia
Courtesy of Piera Masala

Raccontaci di te e di come attraverso la tua formazione sei arrivata ad esprimerti con il linguaggio fotografico. 

Sono Piera Masala, sono sarda e abito in un paese che è il secondo più piccolo della Sardegna. Inizio con questo piccolo dettaglio perchè per me ha segnato il mio processo sia creativo che personale.
L’approccio col mondo artistico e con la fotografia inizia casualmente, quando mi rendo conto di essere attratta da qualcosa che fondamentalmente non conoscevo e che non riuscivo a toccare, non era tangibile. Così ho iniziato a domandarmi, ho cercato di capire verso che direzione mi portava e ho scoperto che il mondo visivo era quello più vicino ai miei interessi e alla mia visione.

Mi sono iscritta all’Istituto di fotografia e grafica a Padova, un percorso che è stato decisivo perché mi sono appassionata della fotografia e del visivo in generale. Non prediligo nessuno stile fotografico in particolare perché mi considero abbastanza versatile nel momento in cui la mia fotografia è in linea con quello che vivo. Non esiste moda, fotografia di nudo, ritratti perché alla fine quello che ricerco è semplicemente qualcosa che mi avvicina sempre di più a me stessa.

Piera Masala foto sardegna artista acre magazine
Courtesy of Piera Masala

Nella tua fotografia si ritrova una certa attenzione verso il corpo, in particolare quello femminile. Come è nata questa ricerca? 

E’ iniziato tutto in Australia quando mi sono ritrovata a condividere il mio spazio e tempo con tante donne di diverse etnie e posti del mondo. Condividendo lo spazio con loro mi sono ritrovata a pormi tante domande su me stessa, sulla mia corporeità, avvicinandomi a quella che è la mia visione su me stessa e distaccandomi da questo mi sono avvicinata più a loro. 

Il mezzo fotografico mi ha aiutata ad avvicinarmi, a poter sentire e ad avere un contatto sia corporeo, fisico sia mentale. Attraverso questa esperienza mi sono resa conto di quante paranoie ci facciamo nell’abitare il nostro stesso corpo. Il mio scopo è quello di avvicinarmi a me stessa e lo faccio scoprendo mondi altrui. Ovviamente essendo i femminili più familiari continuerò a conoscere, vivere più donne possibili perché credo sia l’unica maniera per dare un senso alla mia esistenza

Courtesy of Piera Masala

Ti definiresti quindi una ‘fotografa’?

Il mio mestiere non è la fotografia. Io penso che sia molto limitante al giorno d’oggi chiedere “cosa fai?”. “Faccio fotografia, sono una fotografa” così mi sto etichettando, inserendo in una parola così interpretabile da chiunque che molto probabilmente è distante dalla mia visione. I miei progetti fotografici si avvicinano di più al condividere, fare qualcosa insieme, quindi cercare di “adocchiare” un obiettivo e insieme portarlo avanti in Sardegna.

Questo perché la Sardegna e io stessa abbiamo bisogno di questo, ossia avere coraggio, sentirmi libera di esprimere quello che penso. La mia ragione di vita è anche quella che mi porta a stare qui: fare qualcosa per la mia terra, esprimermi ed essere d’ispirazione.

UNVEIL vs REVEAL sardegna fotografia piera
Courtesy of Piera Masala

Che rapporto hai quindi con Sardegna, con le tue radici, in virtù anche dei viaggi che hai compiuto?

Con la Sardegna ho un rapporto particolare. Ho sempre pensato che non mi isolasse affatto nonostante abbia vissuto in quest’isola da sempre, a parte i miei viaggi. Per me è una ricerca e una scommessa, direi. Essendo la fotografia abbastanza al pari passo con quello che vivo ed essendo la mia vita abbastanza movimentata.
Io ho tutto qua, cerco sempre di legare la mia visione un pò più contemporanea a quella che è la mia identità ed esistenza che è fatta di volti, di anziani, di suoni, di campanacci, di mare [..].

Quello che faccio quando sono in Sardegna è unire due caratteristiche: la me un pò visionaria che si lascia ispirare da quello che legge o da un film, e quello che invece vive la Sardegna. Sono andata via da qui perché la credevo limitante. Con l’andare fuori mi sono resa conto che quella con i limiti ero semplicemente io. I limiti me li creavo io e tutto poteva cambiare nel momento in cui cambiavo la mia visione e approccio con essa.

Mentirei nel dirti che ci sono progetti o cose che mi aspetto dalla Sardegna; so solo che è un ricordo dentro di me. C’è questo continuo andare di sensazioni tangibili: le campane, mia nonna che racconta storie, i veli (che ritornano spesso nella mia fotografia). Quando sono in Sardegna copro spesso i volti perché in un certo senso è come se “spogliassi” il corpo. Copro i volti perché penso che non sia ancora il momento di vedere tutto della Sardegna, non posso e non voglio prenderla subito.

Sicuramente la consapevolezza, il capire realmente quello che voglio comunicare e quello che sono mi porteranno pian piano ad allontanarmi da questi veli, da questi ricordi per creare qualcosa di mio che sa di questo ma ha una vita propria.