Calcúra è un editorial visual journey attraverso la Sardegna. Tramite una serie di conversazioni e racconti fotografici Acre ha creato un percorso showcase della scena creativa sarda.
Diverse sono state le voci che si sono raccontate. Ognuna di esse rappresenta un intreccio, una radice nel terreno che crea mondi intimi che aspettano solo di essere scoperti.

Stefania Bandinu è una designer ed artigiana che vive e lavora tra Bologna e la Sardegna, sua terra d’origine. Il suo è un lavoro per evocazione dove il gioiello perde il valore puramente estetico e diventa un mezzo per raccontare. Le collezioni “narrative”, raccontano il mondo e l’immaginario della designer, attraverso viaggi, contaminazioni e tecniche tradizionali.

 Stefania Bandinu calcura acre magazine sardegna
Courtesy of Stefania Bandinu

Raccontaci di te, della tua formazione e del percorso che ti ha condotta al design dei tuoi gioielli.

Sono Stefania Bandinu, sono una designer-artigiana: così mi piace definirmi perchè disegno delle linee di gioielli che realizzo con le mie mani. Ho fondato un brand che porta il mio nome e questo percorso artistico è iniziato per puro caso. Sono nata in Sardegna ma sono andata a studiare a Bologna per fare prima il liceo artistico poi l’Accademia, proseguendo con una specializzazione in storia dell’arte. Durante gli ultimi anni dell’università ho cercato di mettere a fuoco quello che potesse essere il mio percorso futuro e per caso ho cominciato a lavorare i metalli, a creare degli oggetti molti piccoli.

Dal creare semplicemente degli oggetti con valore puramente estetico ho cercato di creare degli oggetti che potessero raccontare qualcosa, con valore narrativo. Questa peculiarità è poi diventata il filone di tutta la mia ricerca: ho iniziato a mixare i materiali insieme al metallo, ad impiegare la carta che poteva essere carta antica o delle semplici fotografie e immagini con la volontà di creare qualcosa di fortemente narrante. Così l’oggetto diventava significante per un qualcos’altro e poteva comunicare un mondo spesso e volentieri assente. Lavoravo per evocazione.

Come si è avviata l’azienda e qual è la poetica dietro le creazioni di Stefania Bandinu? 

Ho aperto la mia piccola azienda e iniziato a creare delle collezioni “narrative”. In queste collezione confluiva quello che era il mio mondo, il mio immaginario. Soprattutto i viaggi perchè sono sempre stata una “migrante” essendo partita dalla Sardegna molto giovane per il “continente”; la mia realtà di vita si svolgeva tra due poli a cui si è poi aggiunta la Francia.

Raccontavo i miei viaggi, le mie passioni, le storie di alcune donne che mi appassionavano e molto spesso ho raccontato il legame che avevo e ho tuttora con la mia terra, la Sardegna. E’ un legame che ho tessuto proprio all’interno di un progetto abbastanza complesso dal punto di vista dei linguaggi che sono stati impiegati: una collezione di gioielli che si chiama Janas. Per costruire questa collezione, diversi anni fa, volevo parlare di tessuti della Sardegna, perché volevo parlare  proprio della Sardegna.

 Stefania Bandinu calcura acre magazine sardegna lenuvole
Courtesy of Stefania Bandinu

Durante il primo lockdown hai dato vita alla collezione Lenuvole e per la quale hai richiesto la partecipazione del tuo pubblico. Raccontaci di questa esperienza.

La mia ultima collezione si chiama ‘Lenuvole’ ed è una collezione che ho dedicato al cielo, a questa visione dello spazio celeste. Sono delle piccole porzioni di fotografie di cieli e nuvole in cui si vedono solo le distese di nuvole bianche e azzurre quindi c’è una componente cromatica molto riconoscibile. Questo progetto è nato durante il lockdown, vissuto nel 2020, quando ho preso coscienza della necessità impellente di voler realizzare la collezione. L’idea di non poter frequentare degli spazi aperti è stata una grossa rinuncia per me.

Per cui quello che avevo sott’occhio durante questi mesi erano le finestre e il cielo, l’accesso al mondo esteriore. Così ho iniziato a costruire la collezione con l’idea che queste piccole parti di cielo fossero i frammenti di qualcosa che stesse esplodendo. Come se ci fosse una volontà da parte mia di andare oltre una limitazione per poter prendere aria. Mentre realizzavo la collezione, ho notato che questi frammenti, con angoli taglienti e forme spezzate, mi ricordavano molto i frammenti di cielo che si vedono camminando per le vie della città.

Ho cercato anche di creare delle analogie fotografiche per raccontare meglio il tema al mio pubblico. Così ho lanciato una call su instagram, chiedendo alle persone di scattare delle foto del cielo e di inviarmele, insieme al pensiero che accompagna quello scatto. Volevo realizzare un piccolo atlante celeste: una raccolta di visioni di libertà e di spazi aperti. Per me, questi erano anche spazi intimi ed emotivi quindi molto personali dentro i quali potersi sentire liberi di esprimere, di essere e di credere in quello che più si desidera.

Era anche una volontà di ascoltare la propria voce interiore. Trovo sia sempre una cosa importante, sia per chi porta avanti un percorso artistico sia semplicemente vive.

Stefania Bandinu
Courtesy of Stefania Bandinu

Hai viaggiato e vissuto in luoghi molto diversi tra loro. Qual è invece il tuo rapporto con la Sardegna?

Mi sono resa conto di essere fortemente legata a questo territorio. Ne ho preso coscienza durante gli anni del liceo quando mi sono resa conto di quanto mi mancavano quei luoghi. Mi mancavano i paesaggi, gli odori, i profumi; avevo proprio quello struggimento del luogo che non potevo portare con me. Non ho mai cercato di rappresentarla in qualche forma artistica però poi durante la realizzazione dei miei lavori è rientrata prepotentemente.

Questa nostalgia ha costruito il mio sguardo sul paesaggio, che è una componente della mia ricerca, guardare il cielo, gli orizzonti, lavorare sul concetto del luogo, sulla cultura. C’è questo sguardo anche pittorico fortemente legato ai miei paesaggi e alla mia natura. Anche se il lavoro in cui racconto più di tutti questo legame è il progetto Janas, che parla di legami, di fili, punti di trame. Decisi di partire alla ricerca di materiale tessile, un materiale capace di raccontare visto che il tessuto aveva già in sé una capacità narrativa.

Per creare questo racconto, sono partita per raccoglie frammenti di tessuto e storie di tessitrici proprio perché l’idea della collezione tessile era molto bella e forte a livello simbolico. Volevo andare oltre la realizzazione dell’oggetto e far parlare le persone che avevano realizzato quei tessuti. Quindi partii da sola e poi una equipe di documentaristi decise di seguirmi e trasformare questo discorso in un documentario.

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Courtesy of Stefania Bandinu

E’ nato un lavoro fantastico ed è stata un’esperienza incredibile perché da un’idea molto piccola è venuto fuori un lavoro d’equipe. Si è costruita veramente una rete capace di produrre un’opera creata attraverso una molteplicità di linguaggi. Il progetto si componeva di una collezione di gioielli quindi oggetti di design e un film documentario quindi un prodotto audiovisivo ma allo stesso tempo di una community. Una community di addetti ai lavori, appassionati del tessile e di intellettuali che in un certo modo avevano ruotato attorno al mondo della tessitura.

E’ stata una bella espressione corale con uno sguardo che partiva dalla tradizione e dal passato per arrivare poi al futuro, alla contemporaneità. Inoltre questo progetto non si è concluso col viaggio in Sardegna ma è riuscito a portarci fino a Okinawa, in Giappone, e da lì si è cucita ancora un’altra storia.