Achille insieme ad Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Accardi, Sanfilippo e Turcato, è stato uno dei più grandi artisti dell’avanguardia artistica detta Gruppo Forma 1 di ispirazione marxista.

“Abbiamo tra le mani una grammatica, delle parole da poter dire più cose in una volta, più spazi in tempi diversi. Sotto il fondo bianco di Mondrian si muovono altri spazi e altre forme, così come dietro le forme di Kandinskij e di Magnelli sono infiniti spazi e infinite forme. Cerchiamo di definirli. Vogliamo raggiungere la sintesi concreta.”

Achille Perilli, La Beata Isola dell'Ansia, 1973
Achille Perilli, La Beata Isola dell’Ansia, 1973

Graffi, tagli e forse pensieri messi su tela che cercano di evadere da uno schematismo troppo semplice, riassumono le opere prodotte da Achille Perilli fino alla prima metà del secolo scorso. 

Ricorda un po’ quella ricerca alla Fautrier, quel bisogno atavico e al contempo appreso di capire non tanto dove si è ma dove si vorrebbe arrivare. E in fondo, Perilli da qualche parte è arrivato. Da qualche parte, non si sa bene dove.
In un microcosmo senza coordinate geografiche in cui le paure, le emozioni e i concetti diventano precetti di costruzione. Mattone dopo mattone, uno sopra l’altro, dagli anni ’60 Perilli disegna dei “blocchi” autonomi, diventano cose che vivono.

Ho costruito una casa per me per te finché non è scomparsa, da me da te.”

Ecco, Achille Perilli in opere precise come la stessa Isola dell’ansia, costruisce proprio delle case, degli ambienti da abitare. Quest’opera del 1973 in particolare è frutto di una difficoltà di esprimere a parole una condizione, l’isola è sinonimo di paura, incomprensione, ansia.
Quante volte anche noi ci siamo arrovellati a cercare di dare un volto, una figurazione a quello che proviamo, alle cose che nominiamo un po’ per caso. A volte anche secondo il gioco dei contrari

Fragment, 1973
Achille Perilli, Fragment, 1973

Pian piano però i protagonisti delle opere dell’artista prendono il volo e respirano una dimensione che non li vede più al centro del quadro. Si mettono a lato. In mezzo c’è solo il colore e siamo noi a dover intervenire per completare la narrazione. In questo do ut des irrefrenabile, tra la paura e la voglia di fare di quel buco tutto ciò che si vuole, alle “case” di Perilli ora mancano dei pezzi. Come in Dedans Dehors del 1983 o in Dialectique du hazard del 1982.

La rassegna di opere che dal Sessanta in poi circolano nel mercato e fra le mostre di tutto il mondo (anche l’Ermitage di San Pietroburgo) sembrano il risultato di un appuntamento fra Licini ed El Lissitzky, l’abbraccio di chi la notte la sogna alla finestra e di chi la decostruisce.

Se è vero che “la vita è l’origine non rappresentabile della rappresentazione”, diciamo che in De Insana Geometria, una personale del 1998, Achille Perilli ha riassunto questo perenne tentativo di figurare stati d’animo sotto forma di ciò che più distante dal caos interiore c’è: l’ordine.
La pulizia delle forme, la precisione delle linee che non corrono ma aspettano.

Achille Perilli, La visione geometrica, 1981
Achille Perilli, La visione geometrica, 1981

Il titolo, De insana Geometria, nasce dal mio continuo inseguire questa idea di associazione tra geometria e irrazionale, è la contrapposizione tra due mondi: il razionale e l’ inconscio. La geometria è il campo nel quale si dispiega meglio questo scontro.

Lo sguardo dell’artista negli ultimi istanti della sua produzione assetta un po’ la mira. In La vitalità sconosciuta o La piazza rarefatta del 2014, i mattoncini che conosciamo si sommano e non lasciano adito a nessun pensiero altro, occupano ogni centimetro della tela che si fa più piccola.
I colori si accendono, accecano. Tuttavia, seppur di grande impatto, il risultato a tratti totemico è forte, fortissimo, di grande impatto ma allo stesso tempo troppo “facile” da esperire. Perdersi qui è difficile.

E’ come se ci trovassimo nel mezzo di un labirinto in cui però, sappiamo già dov’è l’uscita.