Calcúra è un editorial visual journey attraverso la Sardegna. Tramite una serie di conversazioni e racconti fotografici Acre ha creato un percorso showcase della scena creativa sarda.
Diverse sono state le voci che si sono raccontate. Ognuna di esse rappresenta un intreccio, una radice nel terreno che crea mondi intimi che aspettano solo di essere scoperti.

Marco Loi, artista e designer, inizia il suo percorso creativo dalla grafica e comunicazione visiva per muoversi verso una ricerca personale che si sposta liberamente tra approcci e mezzi differenti, includendo tra gli altri fotografia, tessitura, e algoritmo. I suoi lavori affrontano i luoghi con un’espressione coerente, capaci di svelarne le intime connessioni tra relazioni umane e natura, attraverso un pensiero che ne indaga i confini, l’inaccessibile e l’invisibile. Abbiamo intervistato Marco ad Agosto scorso durante il nostro viaggio in Sardegna X Calcúra

 Marco Loi
Courtesy of Marco Loi

Volevamo iniziare chiedendoti di presentarti, e di raccontarci attraverso la tua formazione quali sono i linguaggi che ad oggi caratterizzano la tuo produzione artistica.

Al momento sto studiando Geo design alla Design Academy di Eindhoven. Si tratta di un master che cerca di trovare delle relazioni tra il design e delle questioni geopolitiche attraverso l’arte e altri linguaggi. 

Sono Marco Loi e sono originario di Samugheo, un piccolissimo paese al centro della Sardegna in provincia di Oristano. Ho studiato progettazione grafica e comunicazione visiva all’ISIA di Urbino. Il triennio mi ha dato modo di mettere insieme diversi linguaggi e ciò mi ha permesso di esplorare anche la fotografia. C’è stato un anno in cui preparavo una tesi fotografica sulla militarizzazione in Sardegna per cui mi sono trovato per molto tempo a Samugheo. Mi sono molto avvicinato alla tessitura, proprio perché mia madre è una tessitrice, quindi avevo sempre visto questo linguaggio in casa.

E lì mi è venuto in mente un progetto da sviluppare in Sardegna, appunto un progetto sul Rio piscinas, un fiume inquinato dalla fuoriuscita di metalli pesanti dalle miniere. Ho quindi pensato che la tessitura potesse amplificare il progetto utilizzando fanghi tossici per la colorazione delle lane. Ho iniziato così un progetto in maniera del tutto sperimentale ma si è aperto mondo perché ho capito che tipo di relazione ci potesse essere con una tecnica tradizionale, che vedevo solo in casa. Era una cosa che avevo considerato solo come marginale.

Poi con la residenza di Nocefresca a Milis ho svolto una sperimentazione più concettuale utilizzando questa tecnica. Con l’aiuto di una programmatrice, Marta Fioravanti, abbiamo sviluppato un algoritmo per mettere insieme la fotografia col suono che poi avesse come output finale un’opera tessile. Da quel momento ho capito come la sperimentazione con queste tre tecniche potesse essere la chiave anche per continuare la mia ricerca personale.

Marco Loi sardegna
Courtesy of Marco Loi

Come si intreccia nei tuoi lavori da artista l’interesse per tematiche politiche? 

Questo interesse è figlio del fatto che il mio percorso artistico va di pari passo con un altro percorso da attivista su alcune tematiche. La prima volta che all’ISIA ho fatto un progetto che può definirsi politico, è stato durante un corso di sociologia in cui ci è stato chiesto di lavorare sul concetto di memoria storica e momento. Ho sempre affrontato tematiche socio-politiche o geopolitiche. Oltre ad un interesse personale, è interessante vedere il progetto come uno strumento che permetta di accedere a certe questioni, interrogarle, provare a pensare a nuove letture.

Mi piace che attraverso il mio lavoro si possa creare una consapevolezza comune, che il fruitore possa quindi interrogarsi e magari diventare un alleato di certe tematiche.

 The noise of an invisible land Marco loi
Courtesy of Marco Loi

Il tuo lavoro di tesi The noise of an invisible land si struttura come una ricerca sulle aree militari in Sardegna. Quali sono le riflessioni che lo hanno guidato?

Mi sono avvicinato alle tematiche relative alla militarizzazione in Sardegna all’inizio del triennio a Urbino, quindi leggendo articoli, libri e report scientifici relative all’attività militare in Sardegna. E’ qualcosa che ho sempre letto e sui cui mi sono fatto un’opinione personale. Mi sono reso conto così di quanto dall’esterno è difficilissimo raccontare ciò che accade all’interno. Questo poi è diventato un pò il punto centrale di tutta la tesi ossia il cercare di rappresentare l’invisibile, nello specifico le basi militari.

Quindi tutto era incentrato sulla creazione di un immaginario che potesse superare questo limite di invisibilità e irrappresentabilità di queste basi militari in Sardegna proprio per il fatto che non si potesse entrare all’interno. Alla base c’era una consapevolezza di questa tematica che mi ha spinto ad indagare e provare a raccontare qualcosa che non vediamo dall’esterno. Anche se ci si avvicina a questi luoghi, non siamo in grado di capire cosa vi succede all’interno sia come attività che come sistema allargato.

fotografia design
Courtesy of Marco Loi

Nei tuoi progetti si rintraccia un’attenzione verso le tematiche di confine, limite e margine. Quanto questo interesse può dirsi influenzato dal provenire da un’isola? 

Ho sempre pensato che l’isola fosse fatta di micro-isole, in cui talvolta le dinamiche relazionali si fanno un po’ strette. Ed è forse il motivo che più di tutti mi ha spinto ad abbandonarla. Tornando in Sardegna ho percepito un attaccamento molto forte all’isola, un benessere, un legame che modella anche il mio modo di progettare, una contaminazione reciproca e continua. Sono contento di aver avuto diverse letture negli anni perché è stato un odiarla e amarla, poi per il fatto che molti dei miei progetti sono incentrati sull’isola mi fa pensare a quanto sia necessario raccontare certe cose.

Per quanto riguarda poi la fotografia e l’aspetto paesaggistico posso dire che si possono legare entrambi a questo discorso: non si tratta di una fotografia legata all’aspetto paesaggistico dell’isola in sé ma nel momento ci si avvicina a tematiche di una certo contesto, il tuo linguaggio sarà necessariamente espressione dello stesso.

Questo fascino, che caratterizza poi l’ultima lettura che ho dato a questa terra è data proprio dall’interesse per la tessitura ed altre tecniche artigianali. Ho percepito questa potenzialità per poterla poi intrecciare nel mio lavoro. Mi sono reso conto della forza di questo progetto nel momento in cui mi mancavano proprio per provare a spiegare alla persone quella tecnica e quello che stavo cercando di fare. È ovvio che nel momento in cui inserisci un algoritmo in una tecnica che è sempre stata manuale, come la tessitura, le persone non se lo aspettano.

Però nel momento in cui ci rendiamo conto che molte tecniche tradizionali si stanno perdendo, un modo per poterle conservare potrebbe essere anche questo. Trovo molto interessante in generale cercare contaminazioni con una tecnica così antica come la tessitura a pibiones, e altri linguaggi contemporanei. Anche in futuro, se dovessi continuare a lavorare nell’isola, mi piacerebbe creare continuamente relazioni, tra interno ed esterno, tradizione e innovazione, locale e globale. La contaminazione credo sia una chiave anche per vivere in questi posti. 

Marco Loi
“40°02’48.5”N 8°38’38.8”E 03.05.2021
12:49:29 – 12:49:34”
(Courtesy of Marco Loi)

Prima ho parlato di attivismo e secondo me la chiave è provare a interrogare la nostra posizione nel mondo ogni volta che ci confrontiamo con qualcosa di sconosciuto. Questa cosa ha poi influenzato moltissimo il mio progetto di ricerca in cui mi sono interrogato su quale sia la mia posizione rispetto a tante cose troppo grandi di me e sconosciute.

Credo infatti di essermi interrogato moltissimo sul concetto di confine ed è stato interessante partire dalla conformazione geografica dell’isola con l’elemento acqua all’esterno e nient’altro. È interessante provare a capire quanti limiti sono presenti intorno a noi. In effetti, il concetto di confine lo ritrovo nei miei lavori sia per quanto riguarda la militarizzazione, dove c’è sempre questo concetto di questo limite invalicabile, che sia fisico, psicologico o ideologico.

C’è sempre comunque un tentativo di volerlo superare. Anche quando ho trattato altri temi, come l’omofobia, c’è sempre un confine con la conoscenza con l’altro, con l’elemento altro che ci si presenta davanti. Quindi la mia consapevolezza può essere partita dal fatto di sapere di vivere in un posto così piccolo, circondato da barriere poco permeabili.

Raccontaci di Cumentzu.

È stato un progetto nato da un viaggio in Kenya nel 2017. Un viaggio di turismo responsabile dove sono andato in diverse comunità dove sono ospitati tra gli altri bambini sieropositivi. Quindi sono stato là e mi sono appoggiato all’associazione Osvic di Oristano, con cui si è creato un rapporto professionale, uno scambio continuo interessante. Quando poi sono rientrato in Sardegna, mi hanno chiesto di proporre un corso di fotografia per persone migranti.

Dissi che avrei accettato con la consapevolezza di non fare un corso di fotografia, ma un percorso insieme con ragazzi e ragazze sull’immagine e sul nostro sguardo, sul come guardarsi intorno. Poi anche con l’interazione del mezzo fotografico ma senza dover necessariamente scattare delle immagini ma utilizzando anche immagini d’archivio per comporre delle narrazioni. Tutti i giorni facevamo delle passeggiate collezionando tantissime immagini. Abbiamo fatto delle letture riflettendo anche su concetti quali di diversità, di muro. Col supporto delle immagini ognuno di loro ha composto un racconto sulla propria vita, storia, viaggio.