Calcúra è un editorial visual journey attraverso la Sardegna: tramite una serie di conversazioni e racconti fotografici Acre ha creato un percorso showcase della scena creativa sarda.
Diverse sono state le voci che si sono raccontate, e ognuna di esse rappresenta un intreccio, una radice nel terreno che crea mondi intimi che aspettano solo di essere scoperti.

Francesca Sassu, CEO & Founder di Nocefresca, è riuscita nel suo intento di dare vita a un programma di residenza permanente rivolto ad artisti visivi, designer, scrittori e professionisti creativi di tutto il mondo. L’abbiamo così intervistata per il progetto Calcùra.

Guardando al tuo curriculum, si nota subito la varietà di esperienze in 15 anni di lavoro: dal management culturale alla curatela per diverse realtà in Sardegna. Ci chiedevamo quali fossero le esperienze che ti hanno portata ad elaborare un progetto come Nocefresca.

Le mie passate esperienze di residenza erano molto diverse perché all’interno di enti pubblici o per conto di associazioni no-profit, che vivevano di finanziamenti pubblici ed erano per questo motivo episodiche. Duravano quindi un mese, finivano i fondi e non si ripetevano più. L’anno dopo si iniziava da zero altrove e con un altro obiettivo. Mi rendevo conto che avviavo un progetto ma dopo 1-2 mesi terminava. Una sorta di meteora che per realtà così piccole poteva essere anche controproducente.

Pertanto ho iniziato a studiare un modello che potesse essere indipendente, svincolandosi da questo giogo (ride) che non mi avrebbe permesso di lavorare come avrei voluto.
È per questo insomma che nasce Nocefresca, che comunque non è un’associazione culturale, non è una realtà no-profit, ma è una start-up, un’impresa che quindi deve reggersi da sé. Indipendente sia da un punto di vista culturale, di scelte, sia da un punto di vista economico.

È stata per me una scelta molto importante, maturata dopo anni di lavoro come segretaria per un assessore alla cultura del comune di Cagliari. Ogni giorno vedevo tante realtà che venivano a chiedere supporto dell’istituzione, mi immedesimavo in loro. Vedendone così tante ho riflettuto su di loro e su di me e quindi ho deciso di cambiare, alla fine di quest’esperienza da dipendente pubblico, aprendo un’impresa

A partire dal confronto con così tante realtà, su quali valori hai poi deciso di fondare Nocefresca? E perchè si chiama così?

Dunque, il nome ha tanti significati. Il primo molto istintivo e casuale che deriva da un’esperienza di residenza in un comune sardo che si chiama Nughedu Santa Vittoria. In sardo nughedu significa “noce” e nel giardino della residenza c’era un albero di noce dal quale cadevano delle noci fresche, cosa che io non avevo mai mangiato. Una delle artiste aveva fatto una serie di disegni sulla noce, mettendosi a osservarne la forma.

Ovviamente la noce ha sia la forma del cervello, ma se si gira anche quella del cuore. Mi ha quindi colpito perché Nocefresca vuole essere un luogo di produzione di idee ma anche di legame tra le persone, di creazione di comunità. Inoltre mi piaceva l’idea del guscio perchè Nocefresca è un luogo sicuro dove l’artista può sperimentare, permettersi di avere un esito totalmente incerto nelle proprie creazioni.

Infine, la noce è anche un elemento naturale e il legame con la natura è molto forte in Nocefresca, che ha sede in borghi rurali. Il tentativo è di porre attenzione su queste realtà e offrire anche a persone che vivono in grandi metropoli del mondo di fare esperienza in un luogo così piccolo, a contatto con la natura e con le persone. 

Raccontaci di più riguardo sia la scelta delle aree rurali, contesto molto diverso da un’area urbana nel quale organizzare una residenza, sia sul legame che si crea tra la comunità locale, tramite le attività da voi organizzate, con gli artisti stessi. Come si crea questa connessione?

Ho scelto le aree rurali perchè mi danno molte più soddisfazioni rispetto alla città. A Cagliari, dove vivo, l’offerta culturale è ampia, anche se la fruizione tende ad essere un po’ quella di un visitatore che è abituato a vedere mille cose, tra cui la tua mostra. Si tratta di una fruizione che è sicuramente più esperta, ma anche più annoiata.
Nel borgo rurale invece trovi ancora molto interesse.

Le persone che vengono hanno molto più curiosità e sensibilità, e questo personalmente mi dà molta più soddisfazione. A me piace tantissimo che l’arte entri in contatto con persone che con l’arte non hanno avuto nulla a che fare, penso che così si creino delle scintille particolari.

Tornando alla tua domanda, credo che il coinvolgimento della comunità ci sia in tanti aspetti. In primis, nel modello abitativo che abbiamo pensato per Nocefresca. Infatti gli artisti dormono principalmente nelle case degli abitanti. Così abbiamo creato una rete di host, di persone che sono sensibili al progetto e ospitano gli artisti durante il periodo di residenza. Queste persone non sono solo semplici affittuari ma aiutano anche gli artisti ad integrarsi nella vita del paese, nella quotidianità.

Poi per quanto riguarda gli studi, abbiamo preso un altro spazio che ci consente di avere un contatto con un’associazione locale e quindi un rapporto con il territorio. L’associazione culturale Pepebianco, proprietaria della casa dove stiamo, diviene un punto di riferimento per gli artisti. Questi due aspetti sono quindi un primo tassello di coinvolgimento.

Ogni artista sviluppa delle ricerche diverse, ci sono quelli che lavorano con il territorio, focalizzando la ricerca sul paesaggio. Altri invece hanno coinvolto attivamente dei cittadini perché le tematiche che trattavano richiedevano questo.

Nocefresca è attiva da circa due anni. In questo periodo hai trovato dei concetti ricorrenti, urgenti o che comunque sono ritornati nelle ricerche degli artisti e/o dall’interazione con le comunità stesse?

Forse è ancora un po’ presto. Siamo attivi da due anni, ma nel primo c’è stato il lockdown dove abbiamo optato per delle residenze online. Mentre quest’anno, il 2021, è stato il primo anno in cui sono svolte a tutti gli effetti. Sono state tutte molto diverse: dall’interesse verso lo spazio pubblico, al vivere in comunità, al paesaggio, alla tessitura.

Mi vengono in mente due artisti che portano avanti ricerche completamente diverse. Uno è Marco Loi, che si occupa di fotografia e tessitura e ha messo insieme questi due mezzi attraverso i codici informatici degli algoritmi. L’altro invece è un pittore cileno astratto, che si è ispirato molto alla tessitura tradizionale sarda (Ramiro Peonveiga). 

A tal proposito, ti va di farci qualche esempio di progetto artistico secondo te particolarmente riuscito all’interno di Nocefresca? 

Un progetto che ho particolarmente a cuore è il progetto che ho realizzato in collaborazione con la galleria Mancaspazio. Abbiamo attivato una partnership con loro, oltre al premio Mancaspazio Nocefresca che nasce per dare la possibilità a un artista sardo di fare una residenza presso Nocefresca, i cui costi sarebbero stati sostenuti dalla galleria Mancaspazio.

In questo modo l’artista vincitore avrebbe avuto accesso a un’esperienza internazionale, con artisti internazionali, nel suo territorio di provenienza. Mi interessava molto questo aspetto per vari motivi. Per primo, la presenza di un artista locale è importante per gli artisti che vengono da fuori, poiché è un contatto con il territorio immediato.

Secondo, perché conosco la situazione degli artisti sardi e italiani. Questi, a differenza di artisti di altri paesi, non possono usufruire di molte opportunità, come il partecipare a residenze non finanziate tramite borse di studio. Quest’ultimo punto è importante, avendo io realizzato in passato solo residenze finanziate negli enti pubblici, era la prima volta che offrivo una residenza a pagamento.

Inoltre, vorrei pian piano inserire delle collaborazioni con un ente privato, in questo caso una galleria. Quest’ultima offre la possibilità all’artista di esporre in una sua mostra personale il risultato della residenza e di vedere i propri lavori messi in vendita. Per un artista avere la possibilità di fare un periodo di ricerca, connettersi con artisti internazionali, avere un legame con una galleria, avvia un processo di crescita. E per Marco Loi, secondo me, così è stato.

Questi aspetti sono stati molto importanti e anche il progetto di Marco è particolarmente riuscito per me. Per lui è stata una totale novità rispetto alla sua produzione precedente, sia nel campo della fotografia che della tessitura. Un progetto ibrido che trovo particolarmente interessante. 

nocefresca residenza Sardegna Francesca sassu
Courtesy of Francesca Sassu

Che cosa apporta la Sardegna a un artista che proviene da un luogo completamente diverso? Che cosa apporta al progetto l’essere in territorio sardo, e come affronta Nocefresca la sfida di accogliere uno scambio culturale a tutti gli effetti?

Considerando gli artisti che sono venuti a Milis, nella residenza di Nocefresca, ho notato che molti vengono da grandi città, spinti dalla ricerca di una dimensione più a misura d’uomo. Poi sicuramente la disponibilità delle persone che li hanno accolti, con i quali si sono sentiti a casa. Questo perché i nostri host sono persone che hanno interesse nell’entrare in contatto con l’artista.

Quest’anno abbiamo avuto un architetto (Zenovia Toloudi). La sua ricerca si sviluppa su tematiche relative allo spazio pubblico, al come viverlo, e di come negli Stati Uniti questo sia in crisi. Quindi dagli States è arrivata nel Mediterraneo, in Sardegna, in un borgo, per attingere da qui qualcosa. Qui lo spazio pubblico ha forse ancora un senso. E’ fuori da casa quando mi siedo a chiacchierare con il mio vicino oppure nella piazza del paese, dove c’è anche una relazione.

Sono tanti i motivi: sicuramente quello dell’antichità geologica e archeologica, con tutte le civiltà che sono state presenti, è un aspetto che interessa. Sembrerà forse banale dire “sentirsi a casa”, ma nella vita di un artista – come di chiunque – si può portare avanti un progetto culturale ma se non vi è un ambiente di empatia, di comunicazione, i risultati non sarebbero gli stessi.