Quattro studi dal vero alla maniera di Domenico Gnoli, è il titolo di uno dei saggi più  belli di Calvino che raccoglie quattro brevi scritti su quattro quadri di Gnoli che  ritraggono: una scarpa da donna, un bottone, un collo di camicia da uomo, un  guanciale.  

Ognuno di questi “semplici” oggetti dipinti sono in realtà rappresentati su tela come  fossero enormi dettagli, monumenti sconcertanti, come se Gnoli con una lente di  ingrandimento avesse scelto cosa farci guardare.  

Avrebbe potuto benissimo completare il lavoro inserendo la presenza umana,  disegnando ad esempio non solo una scarpa di una donna ma anche il collo del piede,  la gamba, la presenza umana che la indossa.  

Ogni singolo elemento viene “lasciato vivere” sulle opere pittoriche di Gnoli e in  quelle scritte di Calvino, quel dettaglio su cui ci si focalizza è considerato –  parafrasando Musil – come un’abitudine del pensiero e un atteggiamento di vita che  fa in modo che la sua forza esemplare influisca su tutto il resto.  

Domenico Gnoli, Colletto verde, 1967. Acrilico e sabbia su tela. 185 × 140 cm. Collezione Privata. Courtesy Luxembourg + Co., Londra.

Questi oggetti bastano a loro stessi, sono indipendenti, vivi, ma soprattutto sia Gnoli  che Calvino li propongono sotto una nuova luce. Entrambi, ci invitano a ripensare la  nostra realtà quotidiana, lavorando per addizione di valore, ad associare persino ad un  ricamo su una tovaglia un valore che non le è proprio.  

Pensiamo alla camicia da uomo di Gnoli che, nel suo essere oggetto e al contempo  spazio definito, possiede una autonomia geometrica.  

“La camicia non solo non è più un indumento, diventa persino uno spazio, un luogo  in cui tracciare linee e assiomi. La camicia sfugge a qualsiasi metodo comparativo,  non somiglia a niente, per cui non resta che definirla come una tavola, secondo un  linguaggio apparentemente sterile: quello geometrico.”  

Nel testo di Calvino la camicia è definita come: “l’anfiteatro come un bassissimo  tronco di cilindro inscritto entro un tronco di cono di forma irregolare (forse a base  ellittica))».Il letto, il colletto, la sedia e più in generale i lavori di Gnoli possono dirsi  opere precise e definite, che rispondono perfettamente ai tre criteri di Esattezza  esposti da Calvino:”1. Realizzare un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;  2. Evocare immagini visuali nitide, incisive, memorabili; 3. Generare linguaggio il  più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e  dell’immaginazione”.  

Gli oggetti, coincisi e ben descritti oramai non sono più quelli che erano prima di  essere rappresentati. Sono diventati come i semiofori di Pomian: delle cose svuotate 

della loro funzione primaria che acquisiscono una nuova utilità e un nuovo valore.  Franz Steiner nella Teorie delle Economie sosteneva l’entità incerta di questi  semiofori, lontani dalla praticità, dalla tangibilità. “Più significato c’è in una cosa,  meno sarà utile”. Ciò ci riporta al sistema gerarchico di matrice verticale per cui in  alto troviamo il Dio, il potente e alla base della piramide l’umile, o la comunità  “semplice” che ha a che fare con la realtà quotidiana, col mondo vero. Più ci si  allontana da Dio o da qualsivoglia figura di potere più si va verso il visibile. Più si va  in alto, più si ha semiofori intorno. Si cerca in ogni modo in Pomian di definire questi  semivuoti come padroni del campo dell’invisibile, dell’immaginario, di ciò che è  “infinitamente vasto”.  

Ed è interessante come proprio da un oggetto, da una cosa, da un dettaglio preciso e  delineato che rappresenta il massimo della concretezza si possa parlare di astrazione.  Come può qualcosa di specifico essere la chiave di volta per la comprensione  dell’indefinito?Leopardi ne sapeva qualcosa, eppure il poeta dell’infinito sosteneva di  trattare questo tema del vago a 360 gradi senza partire da un oggetto della realtà non  sensibile. Tuttavia, come ci dimostra Calvino sempre parlando di esattezza, Leopardi  fa il contrario di quello che dice. Il poeta di Recanati formula in realtà una  descrizione accurata e precisa; l’autore non può fare a meno di avvalersi  dell’esattezza per delineare un’immagine astratta. Il piacere infinito è il traguardo di  un severo descrittivismo. Ciò che è lontano ed è ignoto parte da Recanati, da casa  sua, dall’analisi e lo studio degli oggetti e dei luoghi che aveva sempre davanti agli  occhi. Il vago è “nella chiusa bottega alla lucerna“, “su la piazzuola in frotta”: è  quella siepe.  

Calvino tutto questo lo sa perché lui quando una storia la scrive, la inizia proprio da  una descrizione di un oggetto o di un luogo che via via che viene descritto finisce  però per essere solo un appendice. La trama e la vita del racconto è quella che gira  attorno all’oggetto. “Il rapporto tra quell’argomento determinato e tutte le sue  possibili varianti e alternative, tutti gli avvenimenti che il tempo e lo spazio possono  contenere. È un’ossessione divorante, distruggitrice, che basta a bloccarmi. Per  combatterla, cerco di limitare il campo di quel che devo dire, poi a dividerlo in campi  ancor più limitati, poi a suddividerli ancora, e così via. E allora mi prende un’altra  vertigine, quella del dettaglio del dettaglio del dettaglio, vengo risucchiato  dall’infinitesimo, dall’infinitamente piccolo, come prima mi disperdevo  nell’infinitamente vasto.)”.  

Domenico Gnoli, Mela, 1968. Acrilico e sabbia su tela. 123,5 × 163,8 cm. Courtesy Sa Bassa Blanca Museum-Yannick e Ben Jakober Foundation

In questa geometria delle sofferenze, in cui l’autore genovese cerca di venire a capo  sano e salvo nelle sue stesse raccolte, le ekphrasis delle opere di Gnoli procedono co  questo stampo geometrico.  

Il guanciale, è: “la sola forma al mondo che unisca la stabilità del quadrato (o meglio  del rettangolo) e la pienezza della sfera (o comunque di un corpo convesso e curvo in  tutta la sua superficie)”. Il movimento e la stasi, il segno del passaggio di vite sulle  cose: l’orma di una presenza. «L’assenza che però non appare come negazione della  presenza, anzi è proprio quest’ultima a essere l’effetto di un’assenza generalizzata ». 

La serie Beds di Gnoli è l’esatta traduzione di quanto appena detto, l’artista dipinge  dei letti fatti e sfatti, dettagliandone i contorni, le fantasie delle coperte, le grinze sui  cuscini. Chi sia passato di lì è irrilevante, quello che conta è l’azione che c’e stato,  questo vuoto continuo, questa assenza che vuole essere colmata da chi guarda, dal  visitatore. L’immaginazione del fruitore è fondamentale, forma la presenza laddove  non ci viene rappresentata. Gnoli dipinge continuamente una fantasia partendo dal  quotidiano, la stessa teoria che Calvino in una intervista della Rai diceva essere  prerogativa dell’uomo moderno per contrapporsi alla routine bisogna usare  l’immaginazione.  

Domenico Gnoli, Due dormienti, 1966, collezione Privata

Titta da Girolamo nelle Conseguenze dell’amore lo diceva in continuazione, per lui  la cosa peggiore del mondo era non avere immaginazione. Perché la vita, già di per sé noiosa e ripetitiva, diventa in mancanza di fantasia uno spettacolo mortale. Tuttavia,  lo scrittore genovese sostiene la necessità di non cadere nella trappola dell’eterna  ricerca di estraniazione, perché “l’immaginazione al potere” può creare dei danni al  singolo individuo occultando le sue abitudini, i compiti, il lavoro, la famiglia, gli  amici. Una astrazione possibile solo attraverso un lento labor limae complesso,  corretto e sistemato, capace di generare un linguaggio che non sia approssimativo, ma  preciso ed esatto.  

Calvino era terrorizzato dall’uso improprio della parola nel comunicazione, non solo  riferendosi agli altri, anzi, soprattutto a se stesso. Se durante una conversazione spesso  capita di non badare troppo all’uso della lingua, in scrittura tutto ciò non avviene.  Tanto si può scrivere, quanto si può cancellare e modificare.  

Calvino propone come lotta alla “peste del linguaggio”, ossia alla uniformità che  appiattisce tutto proprio la letteratura e l’arte capaci di contrastare questa “malattia”  attraverso la rappresentazione definita.  

Il realismo immaginario è qui che affonda le sue radici, partendo dalla vita di tutti i  giorni per arrivare alla realtà sensibile, due mondi che coesistono.  Entrambi gli artisti, Gnoli e Calvino, possiedono quello di cui parlano, dipingono o  descrivono a tal punto che possono ricostruirlo all’infinito.